CHE RABBIA!Siamo sicuri che questa emozione abbia solo risvolti negativi? Sappiamo come parlarne e gestirla in famiglia? Ne parliamo con Giuseppe Lo Dico, psicologo e psicoterapeuta, che si occupa di bambini, adolescenti e genitorialità.

di Laura Della Badia

La rabbia non è certo un momento facile da gestire. Ha anche dei risvolti positivi? La rabbia è classificata tra le emozioni negative e, a mio parere, è interessante perché, pur trovando molte sue manifestazioni nella vita quotidiana, abbiamo difficoltà ad accettarla del tutto. E’ un’emozione piuttosto disturbante! Volendo “spezzare una lancia” a favore della rabbia, si può affermare che ha una funzione regolatrice, fondamentale sia sul piano individuale sia nelle relazioni interpersonali.

Come agisce questa funzione regolatrice? La rabbia permette di imparare a discriminare quelle situazioni in cui si fa o si riceve una provocazione intenzionale da quelle in cui una provocazione non è tale o da quelle in cui si prova una semplice frustrazione. Tale capacità di discriminazione si sviluppa lungo l’intero arco di vita e all’interno di ogni relazione che viviamo. In questo senso la rabbia è necessaria in quanto è l’emozione di base che, più delle altre, permette di comprendere meglio la nostra mente e quelle degli altri. In altri termini, è attraverso la rabbia che cominciamo a “leggere” le intenzioni nostre e altrui e a comprendere che noi siamo diversi dagli altri e viceversa.

Come esprimiamo la rabbia nelle diverse fasi della vita? Come tutte le emozioni, nel corso dello sviluppo la rabbia passa da manifestazioni perlopiù corporee a modalità più astratte e basate sull’utilizzo del linguaggio. In questo senso, la tendenza a esprimere la rabbia in modo prevalentemente fisico è tipica di un bambino di 4-5 anni ma non di un adolescente di15-16 anni, che dovrebbe avere acquisito sufficienti competenze cognitive e comportamentali per comprendere se stesso e gli altri. Infatti, più si cresce, più migliora la nostra capacità di crearci immagini e rappresentazioni del mondo e dunque di descriverlo con le parole. Dunque, nei primi anni di vita, i genitori devono essere in grado di dare voce ai sentimenti di rabbia dei bambini e, in quelli successivi, di dialogare adeguatamente con loro su di essi. Per esempio, se si vede un bambino di 4-5 anni che si chiude in un angolo con aria arrabbiata e le braccia conserte, gli si può proporre una “telecronaca” che descriva cosa sta facendo e provando. In questo modo, piano piano imparerà a farlo anche lui in modo sempre più elaborato.

Come possiamo invece gestirla all’interno del nucleo familiare? Il fatto che la capacità di rappresentazione di noi adulti sia evoluta e matura non implica che, nella vita quotidiana, siamo sempre in grado di gestire la rabbia in modo adeguato. Siamo continuamente soggetti a pressioni esterne e dunque ci può capitare di “fare esplodere” in modo eccessivo la rabbia, cosa che in genere ci fa sentire terribilmente in colpa. Per quanto riguarda questo aspetto in relazione al rapporto con i figli, non sono d’accordo con coloro che invitano i genitori a mostrarsi sempre calmi e a non mostrare mai la rabbia. Più precisamente, a livello di prescrizione generale potrei anche concordare, tuttavia è un dato di fatto che, nella vita quotidiana, ciò non accade mai. Inoltre, “essere genitori” non è sinonimo di “essere perfetti” (immaginate che termine di paragone sarebbe per la prole!), dunque ci può stare che i figli ci vedano perdere il controllo momentaneamente. Ovviamente, ciò non deve essere la norma! Tuttavia, quando accade, trovo sia positivo che i genitori spieghino ai figli con parole adeguate all’età in che cosa abbiano sbagliato. Così facendo, diviene più semplice spiegare a bambini e ragazzi le situazioni in cui sono loro a eccedere nel manifestare la rabbia.

Come aiutare i bambini a verbalizzare questa emozione? Va sottolineato che le manifestazioni di rabbia variano da persona a persona anche a seconda del temperamento. Tuttavia, come abbiamo visto prima, è importante notare che, in uno sviluppo non patologico, tali manifestazioni tendono a diventare via via sempre più verbali e meno fisiche. Ciò è un indubbio vantaggio perché così si può parlare della rabbia e dunque elaborarla bene, tuttavia può essere uno svantaggio nel caso di bambini che “si tengono tutto dentro.” A essi si può proporre un oggetto (per esempio, un cuscino) su cui, se vogliono, possono sfogare la loro rabbia fisicamente. Oppure si può invitarli, senza forzarli, a provare a disegnare ciò che stanno provando internamente e poi parlarne insieme. Ovviamente, il cuscino e il disegno possono essere proposti anche a quei bambini che tendono a usare modalità fisiche di espressione rabbiosa, in tal caso come modalità di contenimento.

Parliamo invece di fratelli e sorelle. Anche nelle relazioni fraterne più amorevoli è sempre presente una componente di rivalità. Si può affermare che avere un fratello implichi una definizione del proprio sé e dei propri limiti in quanto si è continuamente stimolati a un confronto. Dunque, non vi è nulla di anomalo che ci siano comportamenti o pensieri rabbiosi. Anzi, mi verrebbe da dire che sarebbe bizzarro qualora non ci fossero! Si pensi, per esempio, a un primogenito che, fino all’arrivo del fratello, era al centro della famiglia e, quasi repentinamente, perde questo suo status: non ha forse qualche ragione per sentirsi arrabbiato? In generale, ritengo che i genitori dovrebbero permettere di esprimere tali sentimenti di rabbia e accoglierli dando loro un significato, evitando dunque che vengano repressi attraverso diktat tipo “siete fratelli e allora dovete volervi bene.” Non è semplice gestire queste situazioni: essere fratelli è difficile tanto quanto essere genitori ed essere figli! In questo senso, trovo utile che i genitori (magari singolarmente ma anche in coppia) dedichino dei momenti da passare con uno solo dei figli così che abbia la possibilità di sentirsi considerato a prescindere dai fratelli e possa esprimere i suoi sentimenti (non solo rabbiosi) verso di loro in modo più libero.

Come parlare della rabbia all’interno della famiglia? Ciò che mi sento di consigliare è di trovare dei modi per parlare e rappresentare la rabbia che si prova in certi momenti con i figli, il partner, e le persone care in generale e di chiedere loro di fare lo stesso. Tale condivisione permette di comprendere che questa emozione è provata da tutti nei diversi contesti di vita. Ritengo che dei buoni mezzi per operare questa condivisione in famiglia siano il cinema e la letteratura, anche quella per l’infanzia. Uso un solo esempio al quale mi sento personalmente legato: Frozen – Il Regno di Ghiaccio. Una delle protagoniste, Elsa, prova in modo molto forte due emozioni di base ovvero la paura e la rabbia, che la portano a isolarsi dal mondo e a difendersi da esso creando mostri di ghiaccio grazie al suo potere magico. Una volta attenuatasi la paura (di passare dall’adolescenza all’età adulta?), Elsa diventa capace di gestire la rabbia e perciò di discriminare tra coloro che hanno davvero intenzioni malvagie da quelli che non ne hanno ma, anzi, vogliono sostenerla e, infine, di diventare la regina di Arendelle. Magari, vedere Frozen tutti insieme in famiglia e provare a fare attenzione al modo in cui Elsa gestisce la sua rabbia potrebbe essere un’occasione per riflettere!