Come affrontare questa emozione e farne un punto di partenza per diventare più forti!
Di Laura Della Badia
Cosa sappiamo della paura? Per noi genitori, vedere un bambino spaventato è a volte disarmante. L’istinto è quello di proteggere i nostri figli, ma non possiamo evitare che vivano esperienze negative; possiamo invece aiutarli a conoscere la paura e sviluppare le risorse per affrontarla. Ne parliamo con Irene Ratti, psicologa e terapeuta familiare.
La paura nei bambini: quando inizia e come si manifesta? Già a 4-5 settimane un neonato può rimanere serio di fronte ad un estraneo ma è solo a 5-6 mesi che in queste situazioni possono emergere pianto e paura. Ricordiamoci che i tempi sono indicativi poiché esistono sempre delle differenze individuali, influenzate dall’interazione tra la biologia e l’ambiente del bambino. (Camaioni, Di Blasio, 2007). Un aspetto interessante riguarda la capacità di riconoscere negli altri la paura. È stato provato che i bambini ancora piccolissimi sono in grado di osservare un cambiamento nell’atteggiamento della propria figura di riferimento.È per questo motivo che i genitori devono essere consapevoli che le loro reazioni emotive influenzeranno il comportamento del bambino.
Come devono comportarsi allora i genitori? Un genitore che percepisce il mondo pericoloso e quindi vive un’esistenza colma di ansie e preoccupazioni, le trasmetterà al figlio. Tali convinzioni si trasmettono non solo a parole ma anche con gli atteggiamenti e gli aspetti non verbali. Spesso i genitori non vogliono comunicare eventi negativi ai bambini per evitare che loro si spaventino ma le ricerche ci sostengono nel promuovere un’apertura comunicativa all’interno della famiglia per aiutare i più piccoli a conoscere la paura e fronteggiarla. La capacita del genitore è proprio quella di guidare il bambino nella sua crescita emotiva, rispecchiando le sue emozioni, legittimando la sua paura, spiegando cosa sta succedendo, valorizzando ogni strategia che metterà in atto per affrontare la situazione. I segreti purtroppo danneggiano i figli facendo percepire un pericolo imminente ma non manifesto né prevedibile, una minaccia per sé e per le persone che ama. La fantasia del bambino colmerà questi pericolosi “non detti” in mostri che dovrà fronteggiare da solo.
Il rischio, quindi, è creare disagi…Sì, come nel caso di Anna (10 anni) che non riusciva più a dormire per una fobia che entrassero i ladri in casa. La bambina aveva appena vissuto la separazione dei genitori e nessuno di loro era ancora riuscito a spiegare ad Anna cosa fosse successo e come mai il padre fosse uscito di casa così arrabbiato da non riuscire ad essere costante nelle visite alla bambina e la madre fosse così triste e spaventata perché rimasta sola.La narrazione emotiva da parte delle figure di riferimento ha permesso ad Anna di superare il disagio, grazie alla consapevolezza di poter contare ancora sui suoi genitori e sul loro conforto.
Ci sono delle paure ricorrenti, tipiche? Le paure dei bambini sono molteplici e dipendono dalla loro storia individuale. Esistono tuttavia delle paure che possono essere considerate tipiche nell’età dello sviluppo: quelle dell’abbandono, della separazione, della morte, del buio, dei mostri, dei fantasmi, degli animali pericolosi, del dottore etc. (Quadrio Aristarchi, Puggelli, 2006). Ci sono poi le paure trasmesse dall’ambiente circostante o dalla cultura di appartenenza ad esempio quelle dei temporali, dei ladri, del fuoco etc. Intorno al secondo o terzo anno di vita, invece i bambini hanno bisogno di essere aiutati ad affrontare altri tipi di paure, ansie o preoccupazioni. In questo periodo, molti bambini manifestano la paura del buio: può accadere che siano convinti che ci siano mostri in agguato negli armadi o sotto al letto. Vivono il buio come assenza di punti di riferimento, paura per quello che è ignoto o sconosciuto. Spettri e mostri potrebbero rappresentare cattivi sentimenti del bambino. Talvolta quando provano rabbia o tristezza mascherano queste emozioni sotto altre forme di pericolo. C’è poi la paura della morte (intorno al terzo anno di vita) che è vissuta come separazione dalle persone che ama.
Cosa dobbiamo fare in questi casi? Quando nostro figlio mostra queste paure il bisogno è quello di essere rassicurato e protetto; sarebbe opportuno immedesimarsi empaticamente e legittimare ciò che prova. E’ necessario nominare la paura e molto importante non giudicare o ridicolizzare questa emozione per evitare che il bambino si senta criticato e smetta così di comunicare con noi.
E i bambini più grandi? Andando avanti con l’età, possono presentarsi altri tipi di paure: il confronto con i coetanei può far emergere timori ed angosce che gli impediscono di uscire, di affrontare gli altri. Potrebbero avere il timore di sentirsi sbagliati o giudicati, di non essere all’altezza dei loro coetanei. Inoltre rispetto alle proprie figure di riferimento le paure legate ai bisogni di attaccamento possono essere quelle di non sentirsi considerati, di perdere il loro affetto specie dopo rimproveri o punizioni. Anche in questo caso non dobbiamo indicare noi la soluzione “ho capito allora fai questo..” il bambino si può sentire non ascoltato o addirittura inadeguato ad affrontare le difficoltà. Creare dei momenti di dialogo emotivo permette invece ai bambini di sentirsi apprezzati, non giudicati liberi di esprimersi, individuando possibili soluzioni.
Anche noi adulti, ovviamente, abbiamo le nostre paure. Come comportarci in relazione al contesto familiare? Le paure dei genitori sono sane e normali poiché possono guidare i genitori ad insegnare ai figli come adattarsi alle situazioni che ci spaventano. Un’attenzione particolare però va posta alle paure che sono un bagaglio delle nostre passate esperienze non elaborate, in questo caso sarebbe essenziale affrontarle (anche tramite un aiuto professionale se necessario) per evitare che ricadano in modo dannoso sui nostri figli.
Irene Ratti – Psicologa Psicoterapeuta Familiare – Mediatrice Familiare- Terapeuta EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). Riceve anche presso il Consultorio CEMP, occupandosi di coppie e famiglie, mediazione familiare e terapia del trauma.