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Attività sportiva per i ragazzi: benefici e rischi

di Valentina Valente

Nel cammino di crescita, lo sport, a qualunque livello, può essere un alleato. Al di là degli aspetti legati alla salute, nello sport i ragazzi incontrano non solo valori e regole validi anche nella vita, ma trovano in allenatori ed istruttori dei punti di riferimento esterni alla famiglia.

Esploriamo insieme alla dott.ssa Pamela Pace, presidentessa dell’Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus, aspetti positivi e aspetti critici di questo contesto.

Il mondo dello sport rappresenta per i nostri figli una realtà esterna alla famiglia. Con riferimento alla delicata fase della pubertà e dell’adolescenza, che importante ruolo-guida possono assumere allenatori e istruttori?

Transitare dal recinto familiare al legame sociale è un passaggio che può essere facilitato o, al contrario, reso difficile e doloroso, dalla qualità delle relazioni sociali e delle nuove esperienze. Il luogo sportivo acquista un’importanza centrale quando è in grado di offrire al giovane delle coordinate attraverso cui orientare il percorso di individuazione e costruzione identitaria. Il debutto sociale si snoda nei vari ambiti che comprendono anche alcune scelte del giovane, come può essere uno sport. Quindi, oltre alla famiglia, anche gli ambienti sportivi sono testimoni dei cambiamenti che l’ingresso in pubertà comporta. Gradatamente diventano inoltre luoghi extra-famigliari in cui portare fatiche, difficoltà e conflitti. È necessaria quindi un’attenzione da parte degli allenatori che possa valorizzare il soggetto che ciascun ragazzo è, ascoltare e sostenere i suoi desideri, interessi e passioni non “schiacciandolo” sul lato della performance sportiva L’uscita dal periodo infantile prosegue, nei soggetti, il delicato e faticoso percorso di separazione e individuazione ed emancipazione dalle garanzie e sicurezze di tale tempo. Tale processo stimola dissidi e conflitti e mostra, in particolare, generalmente la sfida all’ autorità. Ad esempio: disubbidire alle regole della disciplina sportiva può segnalare l’emergere nel ragazzo del bisogno di differenziarsi e ribadire un punto di vista personale e autonomo rispetto alle attese e alle regole del mondo degli adulti. Questo genere di comportamenti a volte siglano anche l’esigenza di dar prova a se stessi e agli altri di non essere più bambini. Quello sportivo, non è solo un ambito, diciamo così, di performance atletiche o agonistiche, ma lo sport è anche un fatto sociale, e dunque le sue trasformazioni, il suo linguaggio, la centralità del corpo risentono gradatamente di aspetti legati ai passaggi epocali. In particolar modo quello che il sociale veicola dell’importanza del corpo e dell’efficienza prestazionale.

Allora quale può essere il valore peculiare dell’ambito sportivo, promotore di benessere fisico e psichico? Certamente lo sport implica una dimensione educativa, pedagogica che può innanzitutto coadiuvare il difficile e delicato compito dell’adolescente di assumere il suo abitare un corpo, il suo poter investire affettivamente e narcisisticamente il corpo che abita. Assume dunque rilevanza lo sguardo dell’allenatore in quanto ha il potere di restituire al giovane un valore non solo come atleta, ma come soggetto. Ecco l’importanza di sensibilizzare anche il mondo sportivo su tale importanza dello sguardo e, ovviamente anche delle parole dell’allenatore. Inoltre, il confronto con gli altri corpi comporta dinamiche ed esperienze utili alla costruzione dell’identità corporea e alla differenziazione tra sé e gli altri. Nel momento inaugurale e critico della pubertà e dell’adolescenza, l’ambito sportivo diventa sia il luogo in cui apprendere una pratica atletica, ma può rappresentare l’ambito prezioso in cui sperimentare e costruire un rapporto nuovo con se stessi e il proprio corpo in trasformazione.

È possibile che, proprio in questa delicata fase di crescita, i ragazzi abbiano una maggiore sintonia (e quindi ascoltino di più) con queste figure esterne piuttosto che con i genitori? Come dobbiamo comportarci noi genitori in tal caso? L’esigenza di un riconoscimento del proprio valore e desiderabilità spinge il giovane a volgere lo sguardo al di là del contesto familiare. Un professore, l’allenatore non potranno mai sostituire il posto prezioso di madre e padre, tuttavia possono divenire figure di riferimento amate e costruttive, con cui i ragazzi possono confrontarsi e confidarsi. È bene dunque che i genitori possano vivere in modo non competitivo o conflittuale tali nuovi investimenti, cioè non temano di vedersi spodestati dallo loro insostituibile posizione di oggetti d’amore.

Sconfinare in atteggiamenti che inducono “ansia da prestazione” nei ragazzi può essere dannoso. Cosa non devono fare i genitori e cosa non devono fare gli istruttori… Esiste il rischio di uno slittamento da parte dell’allenatore di una visione riduzionistica e oggettivante sia del soggetto sia del corpo dell’atleta. Non è infrequente, soprattutto nell’agonismo, che l’ambiente sportivo divenga un luogo stressante e fonte di ansia. Essendo il corpo al centro della prestazione atletica, rappresenta anche un mezzo per raggiungere un fine preciso, e, per questo motivo a volte, può essere piegato per raggiungere un determinato obiettivo sportivo. Un’elevata pressione e la riduzione del soggetto al corpo prestazionale, corrono il rischio di indurre un disagio psicologico. È dunque importante che l’ambito sportivo non consideri i corpi degli atleti come corpi da prestazione trattando il soggetto solo in virtù della performance, bensì come soggetti e corporeità in relazione, prestando attenzione anche agli aspetti emozionali, relazionali, ai vissuti soggettivi e alle peculiarità di ciascun individuo.

Un ambiente sportivo da considerare “sano” quali valori trasmette ai ragazzi e ai genitori? Il luogo sportivo rimanda ad una dimensione sociale nella quale l’altro, i compagni di squadra così come gli avversari, sono delle presenze necessarie e importanti per misurarsi e autorealizzarsi. Anche se competitivo, l’ambito sportivo è bene veicoli il valore educativo, cioè etico e sociale, della condivisione e della misurazione con l’altro come occasioni di crescita e realizzazione soggettiva. Un’educabilità dello sport è possibile pensarla solo se vengono tenuti presenti, oltre alla dimensione della prestazione e della performance, anche gli aspetti emotivi, relazionali, affettivi e aggressivi (pulsionali). In tale prospettiva il valore di una posizione democratica nel convivere con gli altri, nel rispettare le regole e la disciplina  educa al valore del rispetto e della diversità. Inoltre l’incontro con il rivale, con l’attivazione delle pulsioni aggressive, può consentire di vivere l’avversario  non come un  nemico e, nel contempo, consente al giovane di sviluppare maggiori abilità nel gestire e regolare le proprie emozioni piuttosto che esserne sopraffatti.

Purtroppo talvolta può capitare di incorrere in esperienze negative, in cui allenatori troppo rigidi o severi scoraggiano i ragazzi o esercitano vere e proprie pressioni psicologiche a scapito dell’autostima. Come riconosciamo noi genitori che qualcosa non va? Se predomina l’attenzione alla prestazione e/o all’estetica, e anche la parola dell’altro (allenatori, istruttori) veicola tale ottica, la/il giovane può sentire che il corpo prevale sul soggetto che è. In particolare la spinta competitiva e la maniacalizzazione sul valore dell’estetica, così presenti nel discorso sociale ipermoderno, permeano a tal punto, a volte, l’ambito sportivo, da infragilire o demotivare l’atleta stesso: tutto si riduce alla competizione reificando in tal modo la pratica sportiva alla gara e al gareggiare, infiacchendo la passione del giovane rispetto alla disciplina sportiva amata e scelta. Possono essere campanelli d’allarme la riduzione della passione del ragazzo verso quello sport o luogo sportivo, la comparsa di una disistima e di un vissuto di fallimento, un quadro ansioso e tensivo.

Il corpo è messo al centro dell’attenzione nel mondo sportivo, anche nel rapporto fra coetanei, vi sono rischi connessi con l’insorgere di disturbi del comportamento alimentare? In gioco c’è il lungo percorso legato all’autostima, che si delinea gradualmente e si struttura nel destino dell’incontro con lo sguardo dell’altro e nel confronto con il mondo esterno. La fissazione rispetto alla magrezza, la pressione dell’avere un certo peso, una certa forma fisica, può legarsi ad alcune fragilità psichiche del giovane e contribuire all’emergere di un disagio e/o di un disturbo alimentare. Tuttavia è indispensabile tenere presente che non sempre un disturbo alimentare nell’ ambito sportivo è la dimostrazione e l’espressione di un disturbo alimentare primario, ma contiene il rischio che, se non è individuato, cioè se lo sguardo dell’allenatore e anche dei genitori non è sensibile e attento, il disagio psicologico possa acuirsi e prendere le caratteristiche di un disturbo alimentare primario. Anche nell’ambito maschile è possibile l’emergere di un disagio psicologico che riguarda il corpo.

C’è qualche libro che può consigliarci sul tema?

  • “Sporte adolescenza” Sergio Bellantonio, FrancoAngeli
  • “Pedagogia dello sport” Emanuele Isidori, Carocci Editore
  • “Psicologia applicata allo sport” Pietro Delfini, FrancoAngeli
  • “Aiuto sto crescendo!” a cura di Pamela Pace, GuardaldiLAB
  • “Che bello il mondo!” Marta Bottiani, Edizioni San Paolo

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