Un disagio giovanile da conoscere e prevenire di Valentina ValenteUn nuovo disagio che riguarda i giovani si affaccia oggi all’attenzione delle cronache: è quello dei giovani che si chiudono in casa e smettono di frequentare gli amici, la scuola, e vivono di notte occupandosi di videogiochi o attività solitarie. Sono gli hikikomori. Abbiamo incontrato Elena Carolei, Presidente di Hikikomori Italia Genitori, per fare chiarezza.

Molto spesso Hikikomori viene confuso con la dipendenza da Internet e con l’abuso delle nuove tecnologie. Non è così. Può spiegare nel dettaglio cosa si intende per Hikomori ? Hikikomori è nuovo un disagio osservato già da alcuni decenni in Giappone e ora approdato in altre nazioni del mondo tra cui l’Italia, dove si stima che possano esserci 100.000 giovani colpiti. Il termine si riferisce a quei giovani che interrompono le relazioni sociali, smettendo anche di lavorare o di andare a scuola, rifugiandosi nella propria stanza per mesi o anni, smettendo di comunicare anche con i genitori e invertendo spesso anche il ritmo sonno veglia. Viene spesso confuso con la dipendenza da internet perché molti di loro trascorrono il tempo utilizzando videogiochi o navigando su internet, ma Hikikomori è un problema diverso, si riferisce alla difficoltà a stare con gli altri, ma non all’abuso delle nuove tecnologie.

Però internet e le nuove tecnologie entrano in gioco in qualche modo…Quando si rifugiano nella stanza, gli Hikikomori trascorrono il tempo in vari modi. Molti navigano in internet o usano i videogiochi, ma molti altri si dedicano alla lettura, alle lingue, al disegno o alla musica. Gli hobby, tra cui internet e le nuove tecnologie, rendono meno penosi il ritiro e la solitudine, e possono anche creare dipendenza, ma non sono la causa dell’hikikomori.

 In che periodo possono iniziare i sintomi e come facciamo noi genitori ad accorgerci che si tratta proprio di questo atteggiamento? Il periodo più comune per l’insorgenza dei segnali del ritiro è l’adolescenza, a partire dalle scuole medie, con un picco attorno ai 15 anni. Si tratta comunque di un processo graduale, che inizia a manifestarsi con difficoltà a relazionarsi, fuga dalle comuni relazioni sociali e dagli incontri tra coetanei, sofferenza a stare in pubblico, inversione del ritmo sonno veglia, aumento del tempo trascorso in solitudine. Poiché spesso il ritiro culmina con l’abbandono scolastico o dell’ occupazione lavorativa, molto spesso i genitori inizialmente reputano che il figlio sia pigro e indolente. Ma nessuno rinuncia alle amicizie: la realtà è che alla base di questa scelta c’è un forte dolore.

Può essere definita come malattia o disturbo della personalità? Questa è purtroppo una confusione a cui assistiamo spesso. Hikikomori, inteso come nuovo disagio della nostra epoca, è un disagio di origine sociale. Non è presente sul DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) né in alcuna classificazione nosografica e non può essere catalogato come malattia, né disturbo di personalità. L’equivoco nasce perché esistono anche forme di ritiro sociale con origine patologica, che hanno caratteristiche diverse da questa nuova emergenza sociale che deriva da una scelta dell’individuo.

Ci sono delle cause (ad esempio una separazione, dinamiche famigliari o scolastiche, ecc.) che spingono i ragazzi a diventare Hikikomori?

I giovani Hikikomori sono generalmente ragazzi molto intelligenti e sensibili, introversi, quindi con caratteristiche personali predisponenti; questi giovani, a fronte di particolari pressioni sociali e della paura dell’ambiente esterno e del giudizio non riescono più a fronteggiare le relazioni sociali. Spesso le separazioni, situazioni di bullismo, malattie, lutti, e comunque tutte le situazioni che possono provocare un vissuto di inadeguatezza e suscitare il giudizio altrui possono contribuire ad accelerare il ritiro sociale.

Quali sono i principali rischi se non interveniamo? Il ritiro sociale, se non fronteggiato può durare mesi o anni, e generalmente non si risolve spontaneamente. Se prolungato, provoca un disagio interiore sempre maggiore. I ragazzi ritirati non possono vivere le esperienze dei coetanei, perdono le occasioni di crescita personale e sociale tipiche della loro età, e con il tempo rischiano di avere sempre maggiori difficoltà di reinserimento.

Come dobbiamo comportarci e quali azioni dobbiamo intraprendere noi genitori di fronte ad uno ragazzino/a che rivela tratti da Hikikomori? L’associazione Hikikomori Italia Genitori promuove all’interno delle sue attività una serie di buone prassi da attivare quotidianamente per favorire la ripresa delle attività sociali. Qui possiamo indicare l’ azione più urgente quando si intende affrontare il ritiro del figlio: abbassare drasticamente le aspettative ed evitare di sgridarlo o riprenderlo per il suo ritiro, ma anzi avvicinarsi per comprendere il suo disagio, in quanto il ragazzo sta soffrendo e ha bisogno di aiuto.

Ci sono figure professionali specifiche in grado di dare supporto ai genitori che si trovano ad affrontare questo disagio? Poiché i ragazzi Hikikomori non escono di casa, la migliore risorsa sono proprio i genitori, ed è quindi necessario che conoscano bene il fenomeno e siano preparati. Ci sono tuttavia molte figure esterne che possono supportare la famiglia, ad esempio docenti, psicologi, educatori, che comunque possono intervenire efficacemente solo se il ragazzo esce oppure a domicilio, e se sono informati sulle caratteristiche del fenomeno, il che non è scontato.

 Quando è nata e cosa fa la vostra associazione?  L’associazione dei genitori è nata nel giugno 2017, dal fabbisogno emerso dai genitori del gruppo facebook Hikikomori Italia Genitori, fondato da Marco Crepaldi, giovane laureato in psicologia sociale che ha avuto l’intuizione e il merito professionale di creare un modello di supporto innovativo e che sta dando dei frutti concreti. Oggi l’associazione organizza gruppi di incontro mensili gratuiti per genitori in quasi tutte le zone di Italia, in presenza di uno psicologo, e ha già collaborato con importanti istituzioni per favorire lo studio del fenomeno, ad esempio in Piemonte e in Emilia Romagna, e sta collaborando con il MIUR  per la stesura di linee guida per la gestione del fenomeno nelle scuole secondarie.

A Milano, nello specifico, a chi possiamo rivolgerci? Anche Milano abbiamo importanti attività per le famiglie con questo disagio, per iniziare a farsi aiutare basta scrivere a [email protected].